LA
MAFIOSITA' FUORI DAGLI SCHEMI NE “LA TANA DEI LUPI”
Un romanzo che si fa leggere quello di Sebastiano Privitera.
di Paolo Boccaccio
Essere siciliani fuori dagli schemi, dalle frasi fatte, dai
soliti cliché. Non è facile, alla luce anche della difficoltà nello smontare situazioni e problemi
creati dai siciliani stessi.
Il dramma e la buffoneria? Lo raccontava anche Pippo Fava,
nel suo lungo percorso di amore ed odio della Trinacria. Una terra bella e maledetta,
dove immergersi magari per ritornare ad un'età mitica, anche solo per un cammino
personale. Su questa “strada” si siamo imbattuti nel romanzo di Sebastiano Privitera “La tana
dei lupi” per Book Spint Edizioni. Risultato?
E' una sorta di “viaggio onirico” , non
fosse altro perchè l'autore, l'enigmatico Privitera, sostiene che il suo lavoro è frutto
anche di “innumerevoli notti insonni”. Un testo che si fa leggere, pagina dopo pagina,
nell'attesa di un “choc” o del momento topico della lettura, animata da personaggi e trame
a tutto tondo. Non, comunque, il solito “polpettone antimafioso” o peggio il
rituale malloppo di luoghi comuni e pregiudizi sulla Sicilia e e i suoi abitanti. Non ci sono
coppole e onore a facile prezzo, buoni per le fiction alla moda, insomma, ma sentimenti e
dolori di uomini in carne ed ossa.
Magari come nel caso di un nonno che riscopre l'amore grazie
al nipote che attende il suo “ritorno” dalla galera. Un “ritorno” che è una riconquista
dell'amore, dopo la sconfitta della perdita di sentimenti e persone care.
“La tana dei lupi” ci ha fatto rivedere con le parole climi
e ambientazioni delle famiglie dei Nebrodi, in un contesto unico, non solo per profili
materiali ma anche e soprattutto per il richiamo umano e l'intreccio psicologico. Un “ritorno” anche
ad un tempo “antico” dove conta la
Parola, dove la città e i suoi riti frenetici sono lontani.
Siamo negli Anni Cinquanta e la Sicilia è rappresentata come terra ricca di personaggi
unici e irripetibili, con i loro pregi e i difetti, ma legati assieme in un intreccio umano
che fa passare di pagina in pagina in attesa dell'evento o soltanto della sfumatura dell'anima.
Un “viaggio onirico” quindi?
Non proprio o meglio è una componente della sicilianità,
vista nei suoi aspetti che magari ormai sono fuori moda, ma che ad un occhio attento fanno
assaporare sapori e odori di un tempo che fu. Certo, le figure legate alla mafiosità hanno
il loro spazio, con le bassezze e i piccoli o grandi slanci, ma tutt'attorno vive nel romanzo
un'umanità che si lascia leggere e scrutare con l'occhio dell'uomo maturo, che ha superato il
mondo delle vanità e cerca ora altro, qualcosa di più vero, anche se talora crudele.
Il romanzo, del resto, nasce nel racconto di Privitera dall' “ amore che ho sempre avuto per il cinema, la poesia e
la fotografia. Fin da piccolo ho frequentato, senza esserne coinvolto, personaggi
e famiglie mafiose in cui osservavo, ascoltavo e cercavo di capire, senza
giudicare i loro comportamenti, i loro gesti e le mezze parole. Questo mi portava a
fantasticare su ogni loro singolo racconto”.
Sia chiaro: le pagine non sono una celebrazioni della mafia.
Giammai. E allora come si sviluppa il romanzo?
“L’ho scritto in prima persona -spiega Privitera- per
diversi motivi. Il primo fra tutti è perché volevo esprimere i miei pensieri in maniera
trasparente, poi perché alcuni capitoli non sono stati dettati dalla fantasia, ma da
esperienze personali e infine perché ho scoperto che raccontare le storie in prima
persona, mi ha entusiasmato.” Una spiegazione esauriente. Che invita alla lettura.
la terrazza
Angoli
Angoli sperduti
Piazzetta
Due passi verso casa
Solleone
Il guardiano
La messa è finita
Profondo rosso
Verso l'ultimo tramonto